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review Boo Boo Davis from Italy

Prendete un locale sperduto nel Nord dell’Olanda, infilateci un pubblico partecipe (cosa ormai rara) e un trio che suona un blues sincero e che gli piace farlo. Risultato? Un onesto disco di blues che ti viene vo- glia di riascoltare immaginando di poter essere stato tra i fortu- nati presenti. Questo trio è capitanato da Boo Boo Davis, un mississippiano DOC, nato e cresciuto a Drew nel cuore del Delta, e questo lo si capisce alla prima battuta. Certo che aver avuto a casa propria personaggi come John Lee Hooker, Elmore James o Robert Pete Williams, intenti a suonare col proprio padre, non dev’essere un’esperienza da tutti i giorni e, forse, qualcosa di quelle magiche atmosfere deve per forza esserti rimasta dentro. Sia come sia questa magia emerge da questo “Live And Almost Unplugged” e ci rega- la una sana lezione di blues, dove quel che conta è quel che si dice e non quel che si fa. Lezione che dovrebbero imparare tutti coloro che si approcciano al blues come se fosse una competizione col diavolo o più semplicemente con gli altri “colleghi”. Partita persa prima che inizi, cari miei e il settantatreenne Boo Boo Davis ve lo può dimostrare. Un solo microfono al centro della sala del piccolo Cafe de Amer, il pubblico a due passi e il concerto ha inizio. Boo Boo con la sua armonica e voce è sostenuto da un ottimo Jan Mittendorp alla chitarra e da John Gerritse alla batteria. Non serve altro. Il loro blues fa tutto, dall’iniziale “Ice Storm” via via fino alla conclusiva “St. Louis Woman”, tutti brani scritti da questo trio. È difficile stabilire quale sia la miglior canzone, l’abilità di questi musicisti è quella di aver creato un tappeto sonoro capace di coinvolgere il pubblico olandese come l’ascoltatore a casa, portandolo con l’immaginazione nelle terre piatte del Mississippi dove le ombre al tramonto si allungano sui campi come fantasmi e al crocicchio gli alberi la notte si trasformano in diavoli tentatori. Allora, non esitate, fatevi ten- tare da Boo Boo Davis, qualcosa da insegnarvi lui ce l’ha.

 

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review David Philips from Italy

Evidentemente il tetto della casa di Barcellona di David Philips deve avere una vista molto ispirante, dato che questo è il secondo album che registra da lassù, e con tanto di acquerelli di uccelli a decorazione del disco, opera dello stesso David, che farebbero invidia all’edizione deluxe del Bedside Book of Birds. Il musicista e pittore inglese, di cui avevamo già parlato nel precedente If I Had Wings, è un ottimo chitarrista e compositore che spazia fra diversi generi, da atmosfere caraibiche al folk, dal blues ad un pop di classe. Il precedente disco ci aveva colpito notevolmente e questo nuovo lavoro rimane nel solco di quanto già fatto, ma in versione “stripped”, nel senso che mancano un po’ di sovraincisioni, batterie campionate etc che invece riempivano il suono in passato. Sono presenti sia pezzi nuovi sia riarrangiamenti di vecchi brani, sia cantati che solo acustici. Making It Up è il primo in scaletta, il quale parte con un tempo sincopato e un arpeggio serrato di chitarra mentre il cantato rimane melodico (proprio del suo stile, non aspettatevi una voce alla Tom Waits o un crooner come il compianto Leonard Cohen). Il secondo brano riprende That Dirty Road (Beach Version), già apparso nella scaletta del precedente disco, qui però con un ritmo rilassato, quasi alla Jack Johnson, e con ritmo un po’ indolente e caraibico. I generi toccati sono molteplici, dal pop allegro di Washes over Me, al countreggiante Guitar on His Knee, allo shuffle di Here It Is, al blues slide e ritmato di Tied up Gagged and Bound, con un grande groove. Sempre più sulle tonalità blues, ma piedmont style, My Baby Needs Love, passando al blues quasi pre-war di Guilty Sunday o al ragtime di Old Red Haze, dimostrando la versatilità di David Phillips in quasi tutti gli stili delle dodici battute. Per chiudere infine con sei pezzi acustici (Migration, Dance of the Swallow, Reencuentro, The Acrobat, Waterproof), dal sapore a volte west coast, a volte da ballad inglese, per finire con Long Flight Home, tipicamente blues (rumori di sottofondo inclusi), quasi a comporre un ep distinto dal resto. Diciotto pezzi in tutto, registrati a cinque anni di distanza dal primo disco “rooftop”, in presa diretta con due microfoni, armonica, resonator, cigarbox e chitarra acustica, all’aperto sul suo tetto barcellonese. Buon disco, come il precedente, forse pecca un po’ dell’eccessiva semplicità e uniformità rispetto a quanto già fatto ascoltare in If I Had Wings. Tuttavia David Phillips è un ottimo artista che ci fa sempre piacere ascoltare mentre suona la sua chitarra acustica sui tetti di Spagna. Ad esclusivo vantaggio degli uccelli e del cielo della Catalogna.